Per lungo tempo, la VES (velocità di eritrosedimentazione) e la PCR (Proteina C-reattiva) sono stati i principali biomarcatori per valutare l’infiammazione. La VES indica lo stato infiammatorio generale, mentre la PCR è prodotta dal fegato in risposta all’infiammazione o a un’infezione. Tuttavia, queste proteine “di fase acuta” hanno limitazioni nella specificità e sensibilità per identificare l’infiammazione di basso grado. Altri biomarcatori legati a specifiche vie immunologiche sono più accurati per questo tipo di infiammazione.
BAFF e PAF
Il BAFF e il PAF sono nuovi biomarcatori dell’infiammazione correlati al contatto immunologico con il cibo.
Il BAFF è una proteina coinvolta nell’infiammazione, prodotta da diverse cellule del sistema immunitario (come macrofagi e cellule T), dal tessuto adiposo e dalle cellule epiteliali delle vie respiratorie.
Il PAF rappresenta in realtà una famiglia di fosfolipidi, mediatori di processi fisiologici e patologici, inclusa l’infiammazione. PAF è secreto da una varietà di cellule del sistema immunitario come piastrine, neutrofili, monociti, macrofagi, ma anche cellule endoteliali e della muscolatura liscia.
l termine “intolleranza alimentare” è stato ampiamente mal interpretato e spesso ha guidato l’eliminazione pericolosa di alimenti dalla dieta, basando questi suggerimenti su sintomi specifici o su test non scientifici di “intolleranze alimentari”.
Entrambi i marcatori possono essere utilizzati come “termometri” per valutare l’entità dell’infiammazione sistemica, anche legata al cibo. I loro livelli aumentano in risposta a stimoli esterni e interni, contribuendo a promuovere condizioni infiammatorie e malattie autoimmuni. Pur non essendo marcatori esclusivi di reazioni alimentari, sono influenzati dall’alimentazione e possono essere utilizzati per implementare modifiche nutrizionali e valutare la necessità di ulteriori indagini diagnostiche.
Allergia, intolleranza e infiammazione da cibo: concetti comparati
Nel 2017, il New England Journal of Medicine ha confermato la correlazione tra BAFF e lo sviluppo o il mantenimento di malattie autoimmuni, aprendo così nuove possibilità di diagnosi e trattamento.
Il gene TNFSF13B è stato identificato come responsabile della sintesi di BAFF, e una variante genetica, BAFF-var, è stata associata a un aumentato rischio di autoimmunità. Tuttavia, questa variante giustifica solo una parte (24-27%) dei casi di elevati livelli di BAFF, mentre la maggioranza è attribuibile a fattori ambientali, compresa l’alimentazione. La presenza di BAFF-var è riscontrata in una percentuale variabile della popolazione, con una maggiore incidenza in alcune regioni come l’Italia e la Spagna.
Questa predisposizione dovrebbe essere controllata attivando meccanismi epigenetici più adatti (stile di vita, alimentazione e integrazione personalizzata).
Le allergie alimentari, le intolleranze alimentari e l’infiammazione da cibo sono concetti distinti spesso confusi. Le uniche intolleranze riconosciute dalla comunità scientifica sono la celiachia e l’intolleranza al lattosio, entrambe irreversibili. L’intolleranza al lattosio è inoltre dose-dipendente e non dipende dal sistema immunitario.
Il termine “intolleranza alimentare” è stato ampiamente mal interpretato e spesso ha guidato l’eliminazione pericolosa di alimenti dalla dieta, basando questi suggerimenti su sintomi specifici o su test non scientifici di “intolleranze alimentari”. Quello che spesso ne consegue è l’esclusione (anche transitoria) di specifici alimenti dalla dieta, che favorisce aspetti di malnutrizione, di inadeguatezza dietetica (specialmente nei giovani) e questo può portare a forti reazioni immuno-mediate in seguito alla reintroduzione degli alimenti.
Ruolo di IgE e IgG
Le immunoglobuline E (IgE) sono anticorpi prodotti in risposta al contatto con il cibo, e si legano ai recettori sulla membrana delle cellule mastocitarie. Le cellule mastocitarie sono un tipo di globuli bianchi che si trovano nei tessuti connettivi e nelle mucose. Quando questo accade, si scatenano una serie di eventi che portano al rilascio di mediatori infiammatori come l’istamina, e il TNF-alfa. Questi mediatori provocano una risposta infiammatoria che si manifesta solitamente entro un paio d’ore dal consumo di un particolare alimento.
Le immunoglobuline G (IgG) sono anch’esse un tipo di anticorpi prodotti dal sistema immunitario in risposta all’esposizione a vari antigeni, come quelli alimentari, ma anche a patogeni e tossine, e svolgono un ruolo chiave nella difesa dell’organismo contro le infezioni, determinando, tra le altre cose, la nostra memoria immunitaria.
L’interazione tra IgG, IgE e antigene alimentare dipende dalla concentrazione relativa di questi tre elementi e, a seconda dei casi, può provocare risposte diverse da parte dell’organismo. In particolare, quando gli anticorpi IgG sono presenti in eccesso rispetto ai livelli di antigene, questi “intercettano” l’antigene e ne bloccano il legame con le IgE. Ma i complessi antigene-IgG così creati possono legarsi ad altre cellule del sistema immunitario e indurre una risposta mediata dalle IgG.
Le IgG nei confronti degli alimenti sono quindi normalmente prodotte dall’organismo quando entra in contatto con il cibo e i loro livelli crescono proporzionalmente con l’uso ripetuto dello stesso tipo di categoria alimentare.
In accordo col modello appena descritto, un’elevata quantità di “incontri” tra antigeni-anticorpi di IgG, dovute ad una ripetizione dello stesso stimolo alimentare, promuove un’infiammazione di basso grado attivando una risposta immunologica mediata proprio da questa classe anticorpale.
Molti studi hanno descritto una correlazione tra IgG e condizioni infiammatorie come il morbo di Crohn, la sindrome del colon irritabile (IBS) e la sensibilità al glutine non celiaca (NCGS). Tutti questi studi hanno dimostrato come un intervento terapeutico appropriato possa migliorare i sintomi, sottolineando così la rilevanza clinica delle IgG nel determinare reazioni ritardate che coinvolgono IgG, macrofagi, PAF, BAFF. Questo è stato dimostrato anche in uno studio scientifico condotto dal nostro team in cui l’aderenza alla dieta era correlata con la riduzione dei livelli di IgG.
I Grandi Gruppi Alimentari
Le IgG sono una classe di anticorpi con struttura e forma estremamente variabile. La loro bassa affinità antigenica fa sì che non riconoscano con estrema specificità il singolo antigene alimentare ma antigeni comuni ad una o più classi di alimenti che condividono strutture proteiche similari. Questo è verificabile sia da diversi studi sulla struttura e funzione di questa specifica classe anticorpale sia da studi statistici che hanno permesso di studiare la distribuzione delle immunoglobuline G antigene specifiche nella popolazione italo-europea.
In base a questa “somiglianza immunologica” gli alimenti vengono classificati in cinque grandi gruppi.
Frumento e Glutine: si include cereali contenenti glutine come il grano, il Kamut, il farro, l’orzo la segale e tutti i loro derivati. Si includono anche preparazioni che contengono glutine come la salsa di soia, la birra, il caffè d’orzo e così via.
Nichel: fanno parte del gruppo pomodoro, spinaci, avena, funghi, cacao e alimenti conservati in latta, come tonno in scatola, sardine in scatola ecc.
Lieviti e prodotti fermentati: appartengono a questo gruppo aceto, alcolici come vino e birra, funghi, formaggi, prodotti da forno con o senza lievito, acido citrico industriale (E330), salsa di soia, yogurt, maionese industriale, miele ecc
Latte e carne bovina: ne fanno parte latte e prodotti derivati (yogurt e formaggi), ma anche carne bovina e derivati, come la bresaola (l’intolleranza al lattosio, che è uno zucchero, è di tipo enzimatico e non ha nulla a che vedere con l’infiammazione legata al gruppo del latte).
Oli Cotti: tutti gli alimenti che contengono grassi vegetali cotti, come biscotti, fette biscottate, crackers, piadine, patatine, frutta secca tostata, soffritti, fritture.
A cura della Redazione Scientifica GEK Lab